BOLLETTINO UFFICIALE DEL COMANDO FRANCESE

Quartier generale di Cavriana, 28 giugno 1859

Dopo la battaglia di Magenta e il combattimento di Melegnano il nemico aveva precipitato la sua ritirata sul Mincio abbandonando, una dopo l’altra, le linee dell’Adda, dell’Oglio e del Chiese. Si doveva ritenere ch’esso andasse a concentrare tutta la sua resistenza dietro il Mincio ed importava che l’esercito alleato occupasse al più presto possibile i punti principali delle alture che si estendono da Lonato sino a Volta e che formano al sud del Lago di Garda un’agglomerazione di prominenze dirupate. E di fatto, gli ultimi rapporti ricevuti dall’Imperatore indicavano che il nemico aveva abbandonato quelle alture e si era ritirato dietro il fiume.

Giusto l’ordine dato dall’Imperatore nel 23 giugno alla sera, l’armata del Re doveva portarsi sopra a Pozzolengo, il maresciallo Baraguey d’Hilliers sopra Solferino, il maresciallo duca di Magenta sopra Cavriana, il generale Niel sopra Guiddizzolo, e il maresciallo Canrobert sopra Medole. La guardia imperiale doveva dirigersi sopra Castiglione, e le due divisioni di cavalleria della Linea dovevano portarsi sulla pianura tra Solferino e Medole. Era stato stabilito che il movimento comincerebbe a due ore del mattino onde evitare il caldo eccessivo del giorno.

Per altro nella giornata del 23 parecchi distaccamenti nemici si erano fatti vedere sopra vari punti e l’Imperatore ne era stato avvertito; ma siccome gli Austriaci costumano di moltiplicare le loro ricognizioni, Sua Maestà ritenne che queste dimostrazioni non fossero che un nuovo esempio della cura e dell’abilità da essi impiegata nell’esplorare e nello stare in guardia.

Il 24 giugno, sino dalle 5 ore del mattino, l’Imperatore stando a Montechiaro, intese il fragor del cannone nel piano e in tutta fretta si diresse alla volta di Castiglione, ove doveva raccogliersi la guardia imperiale.

Durante la notte l’armata austriaca, era determinata a prendere l’offensiva, aveva varcato il Mincio a Goito, a Valeggio a Monzambano ed a Peschiera, ed occupava nuovamente le posizioni che di recente aveva abbandonate. Quest’era il risultato del piano che il nemico aveva continuato ad eseguire dopo Magenta ritirandosi successivamente da Piacenza, da Pizzighettone, da Cremona, da Ancona, da Bologna, da Ferrara, in breve, evacuando tutte le sue posizioni per accumulare le sue forze sul Mincio. Inoltre esso aveva rafforzato la sua armata colla maggior parte delle truppe componenti le guarnigioni di Verona, di Mantova e di Peschiera, ed in tal modo aveva potuto raccogliere nove corpi d’armata, quali in complesso ascendevano da 250 a 270,000 uomini, i quali si avanzavano verso il Chiese coprendo il piano e le alture.

Sembra che questa immensa forza si dividesse in due armate; quella di destra, secondo note rinvenute dopo la battaglia addosso di un ufficiale austriaco, doveva impadronirsi di Lonato e di Castiglione, e quella di sinistra doveva portarsi sopra Montechiaro. Gli Austriaci credevano che tutta la nostra armata non avesse ancora passato il Chiese, e la loro intenzione era di spingerci sulla riva destra di quel fiume.

Quindi le due armate, che marciavano una contro l’altra, si incontrarono inaspettatamente. I marescialli Baraguey d’Hilliers e de Mac Mahon avevano appena oltrepassato Castiglione che si trovarono a fronte di considerevoli forze che si disputavano il terreno. Contemporaneamente il generale Niel urtava contro il nemico all’altezza di Medole. L’armata del Re, in cammino per Pozzolengo, incontrava del pari gli Austriaci al di là di Rivoltella ed il Maresciallo Canrobert trovava il villaggio di Castelgoffredo occupato dalla cavalleria nemica.

Siccome allora tutti i corpi dell’esercito alleato erano in marcia ad una grande distanza gli uni dagli altri, così l’Imperatore si occupò anzitutto a congiungerli affinché potessero reciprocamente sostenersi. A tale effetto Sua Maestà si recò immediatamente presso il Maresciallo duca di Magenta ch’era alla destra nel piano e si trovavi spiegato perpendicolarmente alla strada che da Castiglione conduce a Goito.

Non comparendo ancora il generale Niel, Sua Maestà fece accelerare la marcia della cavalleria della guardia imperiale e la pose sotto gli ordini del Duca di Magenta, quale riserva, onde agire sul piano alla destra del 2° corpo. Contemporaneamente l’Imperatore spedì al maresciallo Canrobert l’ordine di appoggiare il generale Niel quanto fosse possibile, raccomandandogli di stare in guardia a destra contro un corpo austriaco che, secondo avvisi dati a Sua Maestà, doveva portarsi da Mantova sopra Asola.

Prese queste disposizioni, l’Imperatore si recò sulle alture, nel centro della linea di battaglia, ove il maresciallo Baraguey d’Hilliers, troppo lontano dall’armata sarda per poter congiungersi ad essa, doveva lottare sopra un terreno dei più difficili, contro truppe che continuamente si rinnovavano.

Nonostante il Maresciallo era pervenuto sino a pié della collina, alla sommità della quale è fabbricato il villaggio di Solferino, difeso da forze considerevoli trincerate in un antico castello ed in un cimitero, sì l’uno che l’altro muniti da muraglie grosse e forate. Il Maresciallo aveva già perduto molta gente e più d’una volta dovette esporsi in persona conducendo egli stesso in avanti le divisioni Bazaine e Ladmirault. Queste truppe, rifinite dalla fatica e dal caldo, ed esposte ad una viva fucilata non guadagnavano terreno che con molta difficoltà. In questo momento l’Imperatore diede ordine alla divisione Forey di avanzarsi contro il villaggio di Solferino e la fece sostenere dalla divisione Camou dei volteggiatori della guardia. Fece marciare con queste truppe l’artiglieria della guardia la quale, condotta dal generale Sévelinges e dal generale Leboeuf, andò a prendere posizione alla scoperta a trecento metri dal nemico. Questa manovra decise dell’esito al centro.

Mentre la divisione Forey s’impadroniva del cimitero ed il generale Bazaine scagliava le sue truppe nel villaggio, i volteggiatori e i cacciatori della guardia imperiale si arrampicavano sino a pié della torre che domina il castello e se ne impadronivano. Le prominenze delle colline vicine a Solferino venivano successivamente prese, ed a tre ore e mezzo gli Austriaci evacuavano la posizione sotto il fuoco della nostra artiglieria che muniva le creste, e lasciavano in nostro potere 1500 prigionieri 14 cannoni e due bandiere. La parte della guardia imperiale in tale glorioso trofeo era di 13 cannoni e di una bandiera.

Durante questa lotta e mentre il fuoco era più vivo, quattro colonne austriache, avanzandosi tra l’armata del Re ed il corpo del maresciallo Baraguey d’Hilliers, avevano tentato di girare la destra dei Piemontesi. Sei pezzi di artiglieria, abilmente diretti dal generale Forey, avevano aperto un vivissimo fuoco sul fianco di quelle colonne e le avevano obbligate a retrocedere in disordine.

Mentre il corpo del maresciallo Baraguey d’Hilliers sosteneva la lotta a Solferino, il corpo del duca di Magenta erasi spiegato nella pianura di Guiddizzolo al di là del podere di Casa Marino e la sua linea di battaglia, tagliando la strada di Mantova dirigeva la sua destra verso Medole. A nove ore del mattino esso fu attaccato da una forte colonna austriaca preceduta da numerosa artiglieria, che andò a porsi in batteria a 1000 o 1200 metri sulla nostra fronte. L’artiglieria delle due prime divisioni del 2° corpo avanzandosi immediatamente sulla linea dei bersaglieri, aprì un vivissimo fuoco contro la fronte degli Austriaci, e nel medesimo istante le batterie a cavallo delle divisioni Desvaux e Partouneaux, portandosi rapidamente sulla destra presero di fianco i cannoni nemici, che furono ridotti a tacere e ben tosto forzati a ritirarsi. Immediatamente le divisioni Desvaux e Partouneaux caricarono gli Austriaci e fecero 600 prigionieri.

Nondimeno una colonna di due reggimenti di Cavalleria austriaca aveva tentato di girare la sinistra del 2° corpo, e il Duca di Magenta aveva diretto contro di essa sei squadroni di cacciatori. Tre felici cariche della nostra cavalleria respinsero quella del nemico, che lasciò in nostro potere molti uomini e cavalli.

A due ore e mezzo il Duca di Magenta prese l’offensiva e diede al generale de La Motterouge l’ordine di portarsi sulla sua sinistra dal lato di Solferino onde togliere al nemico San Cassiano e le altre posizioni da esse occupate. Il villaggio fu assalito dai due lati e preso con un irresistibile impeto dai bersaglieri algerini e dal 45°. I bersaglieri si slanciarono tosto sul contrafforte principale che congiunge Cavriana a San Cassiano e ch’era difesa da molte forze. Una prima prominenza, coronata da una specie di forte, cade rapidamente in potere dei nostri bersaglieri ma il nemico con un vigoroso ritorno offensivo, riuscì a scacciarli. Poi i bersaglieri nuovamente se ne impadroniscono coll’aiuto del 45° e del 72°; ma furono nuovamente respinti. Onde sostenere questo attacco il generale La Motterouge dovette far marciare la sua brigata di riserva, ed il Duca di Magenta fece avanzare l’intero suo corpo.

In pari tempo l’Imperatore dava ordine alla brigata Manèque dei volteggiatori della guardia, appoggiata ai granattieri del generale Mellinet, di portarsi da Solferino contro Cavriana.

Il nemico non poté resistere più lungamente a questo duplice attacco sostenuto dal fuoco dell’artiglieria della guardia, e verso le cinque della sera i volteggiatori ed i bersaglieri algerini entrarono contemporaneamente nel villaggio di Cavriana.

In questo momento una terribile tempesta, che scoppiò sopra le due armate oscurò il cielo e sospese il combattimento; ma, cessato l’uragano, le nostre truppe ripresero l’opera cominciata e scacciarono il nemico da tutte le alture che dominano il villaggio. Non andò molto che il fuoco dell’artiglieria della guardia cangiò la ritirata degli Austriaci in una fuga precipitosa.

Mentre avveniva ciò, i cacciatori a cavallo della guardia che fiancheggiavano la destra del Duca di Magenta si scagliarono a caricare la cavalleria austriaca che minacciava di girarla.

A sei ore e mezzo il nemico batteva la ritirata in tutte la direzioni.

Ma quantunque la battaglia fosse guadagnata al centro ove le nostre truppe non avevano cessato di far progressi, la destra e la sinistra rimanevano ancor indietro. Per altro anche le truppe del 4° corpo avevano preso una larga e gloriosa parte alla battaglia di Solferino.

Partite da Carpenedolo a tre ore del mattino, esse dirigevansi verso Medole appoggiate dalla cavalleria delle divisioni Desvaux e Partouneaux, allorquando a due chilometri al di là di Medole, gli squadroni dei cacciatori, che esploravano la marcia del corpo, incontrarono gli ulani. Essi li caricarono con impeto, ma furono arrestati dalla fanteria e dall’artiglieria nemica che difendevano il villaggio. Il generale de Luzy tosto si dispose all’attacco. Mentre egli faceva girar Medole a destra ed a sinistra da due colonne, avanzava egli stesso di fronte preceduto dalla sua artiglieria che cannoneggiava il villaggio. Questo attacco, eseguito con gran vigore, ebbe un pieno risultato. A sette ore il nemico si ritirava da Medole o noi gli avevamo tolto due cannoni ed avevamo fatto buon numero di prigionieri.

a divisione Vinoy, che seguitava la divisione de Luzy, uscendo da Medole, si portò nella direzione di una casa isolata chiamata Casanova, situata nella pianura sulla strada di Mantova a due chilometri da Guiddizzolo. Il nemico si trovava in forze considerevoli da questo lato, s’impegnò un accanito combattimento mentre la divisione de Luzy marciava verso Ceresara da una parte e verso Rebecco dall’altra.

In questo momento il nemico tentò di girare la sinistra della divisione Vinoy per lo spazio vuoto lasciato tra il secondo ed il quarto corpo. Esso si avvicinò sino a 200 metri di fronte alle nostre truppe, ma venne allora arrestato dal fuoco di 42 pezzi di artiglieria diretti dal generale Soleille. Il cannone del nemico venne tosto a prender parte nella lotta e la sostenne per gran parte della giornata, benché con manifesta inferiorità.

Giunse la divisione de Failly, ed il generale Niel, riservando la seconda brigata di questa divisione, portò la prima tra Casanova e Rebecco verso il borghetto di Baite per congiungere il generale de Luzy col generale Vinoy. Il generale Niel mirava a recarsi verso Guiddizzolo, tosto che il Duca di Magenta si fosse impadronito di Cavriana, e sperava tagliare così al nemico la strada di Volta e Goito, ma per eseguire questo piano era d’uopo che le truppe del maresciallo Canrobert andassero a sostituire a Rebecco quelle del generale de Luzy.

Il terzo corpo, partito da Medole a due ore e mezzo del mattino, aveva passato il Chiese a Visano ed era arrivato a sette ore a Castel-Goffredo, piccola città cinta da mura che la cavalleria del nemico ancora occupava. Mentre il generale Iannin girava la posizione del sud, il generale Renault l’assaliva di fronte facendo sfondare le porte dagli zappatori del genio e penetrava in città cacciando a lui innanzi i cavalieri nemici.

Verso le nove del mattino la divisione Renault arrivava all’altezza di Medole, si congiungeva sulla sua sinistra col generale de Luzy dal lato di Ceresara e sulla sua destra facendo fronte a Castel-Goffredo in modo da sorvegliare i movimenti del corpo avanzato la cui partenza da Mantova era stata annunziata. Tale timore paralizzò per gran parte del giorno il corpo d’armata del maresciallo Canrobert, il quale non ritenne prudente cosa prestare al 4° corpo tutto quel soccorso che gli domandava il generaleNiel.

Nondimeno verso le due dopo mezzogiorno il maresciallo Canrobert, rassicurato sulla sua destra ed avendo riconosciuta la posizione del generale Niel, fece appoggiare la divisione Renault sopra Rebecco e diede ordine al generale Trochu di portare la sua brigata tra Casanova e Baite sul punto cui si volgevano i più formidabili attacchi del nemico. Tale rinforzo di truppe fresche permise al generale Niel di lanciare nelle direzioni di Guiddizzolo una parte delle divisioni de Luzy e de Failly. Questa colonna si avanzò fino alle prime case del villaggio; ma, trovando a fronte forze superiori stabilite in buona posizione, fu obbligata ad arrestarsi.

Il generale Trochu si avanzò allora per sostenere l’attacco colla brigata Bataille della sua divisione. Marciò contro il nemico in battaglioni serrati a scacchiere, coll’ala destra in avanti dimostrando tant’ordine e sangue freddo quanto sur un campo di manovre. Tolse al nemico una compagnia di fanteria e due pezzi di cannone, ed era già arrivato a mezza distanza da Casanova a Guiddizzolo allorquando scoppiò l’uragano il quale venne a por fine a tale terribile lotta, che il concorso del 3° e del 4° corpo minacciava di rendere sì funesta al nemico.

In mezzo alle peripezie di questo combattimento di dodici ore, la cavalleria fu di possente soccorso per arrestare gli sforzi del nemico dal lato della Casanova. A più riprese le divisioni Partouneaux e Desvaux caricavano la fanteria austriaca e ruppero i suoi carrès. Ma particolarmente la nostra nuova artiglieria produsse sul nemico i più terribili effetti.

Essa lo colpiva a distanza cui non potevano giungere i più grossi calibri, e seminava il terreno di cadaveri.

Il 4° corpo tolse agli Austriaci una bandiera, sette pezzi di cannone e fece due mila prigionieri.

Per sua parte, l’armata del Re, appostatasi alla nostra estrema sinistra avea egualmente la sua aspra e bella giornata.

Essa, forte di quattro divisioni, si avanzava nella direzione di Peschiera, di Pozzolengo e di Madonna della Scoperta, allorquando verso le sette ore del mattino, la sua avanguardia scoprì gli avamposti nemici tra San Martino e Pozzolengo.

S’impegnò la battaglia; ma accorsero grossi rinforzi austriaci che facevano retrocedere i Piemontesi, fino all’indietro di San Martino, e minacciarono anche di tagliare la linea di ritirata. Una brigata della divisione Mollard arrivò allora in tutta fretta sul luogo del combattimento e andò all’assalto delle alture in cui il nemico si stabiliva. Due volte essa toccò la sommità impadronendosi di parecchi pezzi di cannone, ma ben anche due volte dovette cedere al numero, e abbandonare la sua conquista. Il nemico guadagnava terreno ad onta di alcune cariche brillanti della cavalleria del Re, allorquando la divisione Cucchiari, sboccando sul campo di battaglia per la strada di Rivoltella, venne a sostenere il generale Mollard. Le truppe sarde si scagliarono una terza volta sotto un fuoco micidiale; la chiesa e tutte le cascine della destra furono tolte al nemico e presi due pezzi di cannone; ma il nemico può ancora ricuperarli e riprendere le sue posizioni.

In questo momento la seconda brigata del generale Cucchiari, che erasi formata in colonna d’attacco a sinistra della strada di Lonato, marciò contro la chiesa di San Martino, riguadagnò il terreno perduto e tolse al nemico le alture per la quarta volta senza però potersi sostenere, perché schiacciata dalla mitraglia e posta a fronte al nemico, che continuamente rinforzato, continuamente ritornava alla carica, essa non può attendere il soccorso che le portava la seconda brigata del generale Mollard, ed i Piemontesi, rifiniti, fecero la loro ritirata in buon ordine sulla strada di Rivoltella.

Allora fu che la brigata Aosta della divisione Fanti, che primieramente erasi portata verso Solferino per unirsi al maresciallo Baraguey d’Hilliers, fu spedita dal Re onde appoggiare i generali Mollard e Cucchiari nell’attacco di San Martino. Essa fu per un istante arrestata dalla tempesta; ma, verso le cinque della sera, quella brigata e la brigata Pinerolo, sostenuta da una forte artiglieria, andarono contro il nemico sotto un fuoco terribile e toccarono le alture. Esse se ne impadronirono palmo a palmo, cascina per cascina, e pervennero a mantenersi combattendo con accanimento. Il nemico cominciò a piegare e l’artiglieria piemontese, guadagnando le creste, poté ben tosto munirle di 24 pezzi di cannone di cui gli austriaci tentarono invano d’impadronirsi. Due brillanti cariche della cavalleria del Re li dispersero, la mitraglia portò il disordine fra loro, e finalmente le truppe sarde rimasero padrone delle formidabili posizioni che il nemico avea difese per un intero giorno con tanto accanimento.

D’altro lato, la divisione Durando era stata alle prese cogli Austriaci fino alle cinque e mezzo del mattino. A quell’ora la sua avanguardia aveva incontrato il nemico alla Madonna della Scoperta, e le truppe sarde vi avevano sostenuto fino al mezzo giorno gli sforzi di un nemico superiore in numero, che finalmente le aveva obbligate a ripiegare; ma rafforzate allora dalla brigata Savoia, ripresero l’offensiva e, respingendo gli Austriaci, s’impadronirono di Madonna della Scoperta. Dopo quest’ultimo successo, il generale La Marmora diresse la divisione Durando verso San Martino, ov’essa non poté giungere a tempo per concorrere alla presa della posizione, perché incontrò per via una colonna austriaca colla quale ebbe a lottare per aprirsi un passaggio, e quand’essa ebbe superato quest’ostacolo, il villaggio di San Martino era in potere dei Piemontesi. D’altra parte il generale La Marmora aveva diretto la brigata Piemonte della divisione Fanti verso Pozzolengo. Questa brigata con gran vigore occupò le posizioni nemiche al di là del villaggio e rendendosi anche padrona di Pozzolengo, dopo un vivo attacco respinse gli Austriaci e gl’inseguì fino ad una distanza facendo loro provare gravi perdite.

Le perdite dell’armata sarda furono sgraziatamente rilevantissime e non si elevarono a meno di 49 ufficiali uccisi, 167 feriti, 642 sotto-ufficiali e soldati uccisi, 3.405 feriti, 1.288 scomparsi; in complesso mancarono all’appello 5.525 uomini. Cinque pezzi di cannoni rimasero in potere dell’armata del Re qual trofeo di questa sanguinosa vittoria, da essa riportata contro un nemico superiore in numero, e le forze del quale sembravano non essere inferiori a 12 brigate.

Le perdite dell’armata francese ascesero al numero di 12.000 uomini di truppa uccisi o feriti, e di 720 ufficiali fuori di combattimento, dei quali 150 uccisi. Fra i feriti contansi i generali de Ladmirault, Forey, Auger, Dieu e Douay; sette colonnelli e sei luogo-tenenti-colonnelli rimasero uccisi.

Quanto alle perdite dell’armata austriaca, esse non poterono essere ancora valutate, ma devono essere state considerevolissime se si vuole giudicare dal numero dei morti e dei feriti dal nemico abbandonati su tutta l’estensione del campo di battaglia, il quale non ha meno di 5 leghe di fronte. Gli Austriaci lasciarono in nostre mani 30 pezzi di cannone, gran numero di cassoni, quattro bandiere e 6000 prigionieri.

La resistenza opposta dal nemico alle nostre truppe per sedici ore può spiegarsi col vantaggio che gli davano la superiorità del numero e le posizioni quasi inespugnabili che occupava.

Del resto, per la prima volta le truppe austriache combattevano sotto gli occhi del loro sovrano e la presenza dei due Imperatori e del Re rendendo la lotta più accanita, doveva pure renderla più decisiva.

L’imperatore Napoleone non tralasciò un istante di dirigere l’azione recandosi su tutti i punti dove le sue truppe dovevano fare i maggiori sforzi e trionfare dei più difficili ostacoli. Parecchie volte i proiettili del nemico caddero in mezzo dello stato maggiore e della scorta che seguiva Sua Maestà.

A nove ore della sera sentivasi ancora da lontano il tuonare del cannone che precipitava la ritirata del nemico e le nostre truppe accendevano i fuochi del bivacco sul campo di battaglia da esse sì gloriosamene conquistato.

Il frutto di questa vittoria è l’abbandono per parte del nemico di tutte le posizioni da esso preparate sulla riva destra del Mincio per disputarci l’avvicinamento.